Figure di Santità
I luoghi della Fede, gli antichi percorsi di pellegrinaggio, alcune figure dei Santi e dei Misericordiosi che hanno vissuto e operato in Emilia Romagna nelle 15 Diocesi dell’Emilia Romagna. Un progetto di valorizzazione e promozione del turismo religioso sviluppato in sinergia con l'Ufficio per la Pastorale dello Sport, del Tempo libero e del Turismo della Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna che ha portato alla individuazione di alcune figure di Misericordiosi che hanno vissuto ed operato in Emilia – Romagna.
San Francesco D'Assisi
Francesco nasce nel 1182 da Pietro di Bernardone e dalla nobile Giovanna Pica, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi che, grazie all'attività di commercio di stoffe, aveva raggiunto ricchezza e benessere. Dopo la scuola presso i canonici della cattedrale, a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all'attività del commercio. Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni riguardo l'attività del commercio dei tessuti.
Nel 1202 è lotta aperta fra Perugia e Assisi. La vittoria è dei Perugini e fra gli Assisani catturati c’è anche il ventenne Francesco, che rimarrà prigioniero a Perugia per circa un anno.
Da un punto di vista storico le circostanze della conversione di San Francesco non sono chiare e si hanno notizie solo attraverso le agiografie. Sembra che un ruolo importante lo abbia avuto la sua volontà frustrata di farsi cavaliere e di partire per la crociata, ma soprattutto un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, i lebbrosi, i reietti, gli ammalati, gli emarginati: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso il prossimo. Il ventiquattresimo anno (1204) segna l’inizio della sua conversione: l’abbandono degli amici, della giovinezza spensierata; una vita di più intensa preghiera; l’incontro e il bacio al lebbroso; l’incontro di Francesco con il Crocifisso a San Damiano; il pellegrinaggio a Roma e la prima esperienza di povertà. Rinunzia poi ai beni paterni; restaura le tre chiesette di San Damiano, di San Pietro della Spina e della Porziuncola. Nel 1208 matura la vocazione evangelica e apostolica; nello stesso anno gli si raccolgono attorno i primi compagni, che vengono così a costituire embrionalmente il Primo Ordine Francescano. Quattro anni dopo Francesco consacra Chiara a Dio con il taglio dei capelli e la vestizione; è l’inizio del Secondo Ordine Francescano.
La fama di Francesco cresce enormemente e cresce notevolmente anche la schiera dei frati francescani. Nel 1217 Francesco presiede il primo dei capitoli generali dell'Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l'esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l'attività di preghiera, di rinsaldare l'unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni. Con il primo fu organizzata la grande espansione dell'ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna. Durante la quinta crociata San Francesco si recò anche in Egitto. Oltre alla vita attiva Francesco, forse ammalato, sentiva continuamente l'esigenza di ritirarsi in posti solitari per ritemprarsi e pregare (come, ad esempio, l'Eremo delle Carceri di Assisi, sulle pendici del monte Subasio; l'Isola Maggiore sul lago Trasimeno; l'Eremo delle Celle a Cortona). Tali posti offrivano al frate il silenzio e la pace che gli consentivano una più intima preghiera. Tra il 1224 e il 1226, ormai malato gravemente agli occhi, compose il Cantico delle creature. Il 3 ottobre del 1226, a 44 anni, Francesco muore alla Porziuncola. Nel 1230 avviene la solenne traslazione del corpo di san Francesco da San Giorgio alla nuova Basilica di San Francesco in Assisi.
Sant'Antonio da Padova
Sant’Antonio nasce in Portogallo, a Lisbona, nel 1195. Soprattutto per la mediocrità morale, la superficialità e la corruzione della società si sente spinto ad entrare nel monastero agostiniano di São Vicente per vivere l’ideale evangelico senza compromessi. In occasione di un suo trasferimento, sempre all’interno dell’Ordine agostiniano, Antonio affronta a 17 anni il suo primo grande viaggio, 230 chilometri circa, quanti separano Lisbona da Coimbra, allora capitale del Portogallo.
Qui convive con una grande comunità di circa 70 membri per il corso di 8 anni (1212-1220). E’ un periodo importantissimo per la formazione umana e intellettuale del Santo, che qui fa affidamento su valenti maestri e una ricca biblioteca.
A Santa Cruz viene ordinato sacerdote nel 1220. Chiede ed ottiene in seguito di lasciare i Canonici regolari di Sant'Agostino per abbracciare l'ideale francescano. Per l’occasione, abbandona il vecchio nome di battesimo, Fernando, per assumere quello di Antonio, l’eremita egiziano titolare del romitorio di Santo Antao dos Olivãis presso cui vivevano i francescani. In compagnia di frate Graziano da Bagnacavallo e di altri confratelli romagnoli, nel 1221 Antonio vive a Montepaolo. Qui trascorre intere giornate nella sua grotta (ancor oggi devotamente conservata) per vivere solo con Dio, solo in rigore di penitenze e intima preghiera, in prolungate letture della Bibbia e riflessioni. L’anno successivo Sant’Antonio inizia la sua missione di predicatore in Romagna. Parlava con la gente, ne condivideva l’esistenza umile e tormentata, alternando l’impegno della catechizzazione con l’opera pacificatrice. Attendeva alle confessioni, si confrontava personalmente o in pubblico con i sostenitori di eresie. Proprio a Rimini, nel 1223, ha luogo l’episodio riportato dalla tradizione, secondo il quale sant’Antonio vince la testardaggine di un eretico che non voleva credere nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia.
Antonio insegna teologia a Bologna dai 28 ai 30 anni, distinguendosi come primo insegnante di teologia del neonato ordine francescano. Francesco d’Assisi non voleva che i suoi frati si dedicassero allo studio della teologia, ma per sant’Antonio, viste la sua solida fede e la sua integrità morale, fece una eccezione concedendogli di insegnare ai suoi frati. Gli viene conferito il nuovo incarico di "predicatore generale" con la facoltà di recarsi liberamente dovunque riteneva opportuno, e prescelto, con sei altri confratelli, a rappresentare l’Ordine presso papa Gregorio IX. I Sermones antoniani vanno considerati come l’opera letteraria di carattere religioso più notevole compilata in Padova durante l’epoca medievale (1229-1231).
Nell’ultimo periodo della sua vita, già in cattive condizioni di salute, Antonio si ritira nel romitorio di Camposampiero nel raccoglimento dello spirito. Muore nel 1231, a 36 anni e viene sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Un anno dopo la morte la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo Santo il 30 maggio 1232, a soli 11 mesi dalla morte. La Chiesa ha reso giustizia alla sua dottrina, proclamandolo nel 1946 "dottore della chiesa universale", col titolo di Doctor evangelicus.
Sant’Antonio nasce in Portogallo, a Lisbona, nel 1195. Soprattutto per la mediocrità morale, la superficialità e la corruzione della società si sente spinto ad entrare nel monastero agostiniano di São Vicente per vivere l’ideale evangelico senza compromessi. In occasione di un suo trasferimento, sempre all’interno dell’Ordine agostiniano, Antonio affronta a 17 anni il suo primo grande viaggio, 230 chilometri circa, quanti separano Lisbona da Coimbra, allora capitale del Portogallo.
Qui convive con una grande comunità di circa 70 membri per il corso di 8 anni (1212-1220). E’ un periodo importantissimo per la formazione umana e intellettuale del Santo, che qui fa affidamento su valenti maestri e una ricca biblioteca. [[MORE]]
A Santa Cruz viene ordinato sacerdote nel 1220. Chiede ed ottiene in seguito di lasciare i Canonici regolari di Sant'Agostino per abbracciare l'ideale francescano. Per l’occasione, abbandona il vecchio nome di battesimo, Fernando, per assumere quello di Antonio, l’eremita egiziano titolare del romitorio di Santo Antao dos Olivãis presso cui vivevano i francescani. In compagnia di frate Graziano da Bagnacavallo e di altri confratelli romagnoli, nel 1221 Antonio vive a Montepaolo. Qui trascorre intere giornate nella sua grotta (ancor oggi devotamente conservata) per vivere solo con Dio, solo in rigore di penitenze e intima preghiera, in prolungate letture della Bibbia e riflessioni. L’anno successivo Sant’Antonio inizia la sua missione di predicatore in Romagna. Parlava con la gente, ne condivideva l’esistenza umile e tormentata, alternando l’impegno della catechizzazione con l’opera pacificatrice. Attendeva alle confessioni, si confrontava personalmente o in pubblico con i sostenitori di eresie. Proprio a Rimini, nel 1223, ha luogo l’episodio riportato dalla tradizione, secondo il quale sant’Antonio vince la testardaggine di un eretico che non voleva credere nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia.
Antonio insegna teologia a Bologna dai 28 ai 30 anni, distinguendosi come primo insegnante di teologia del neonato ordine francescano. Francesco d’Assisi non voleva che i suoi frati si dedicassero allo studio della teologia, ma per sant’Antonio, viste la sua solida fede e la sua integrità morale, fece una eccezione concedendogli di insegnare ai suoi frati. Gli viene conferito il nuovo incarico di "predicatore generale" con la facoltà di recarsi liberamente dovunque riteneva opportuno, e prescelto, con sei altri confratelli, a rappresentare l’Ordine presso papa Gregorio IX. I Sermones antoniani vanno considerati come l’opera letteraria di carattere religioso più notevole compilata in Padova durante l’epoca medievale (1229-1231).
Nell’ultimo periodo della sua vita, già in cattive condizioni di salute, Antonio si ritira nel romitorio di Camposampiero nel raccoglimento dello spirito. Muore nel 1231, a 36 anni e viene sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Un anno dopo la morte la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo Santo il 30 maggio 1232, a soli 11 mesi dalla morte. La Chiesa ha reso giustizia alla sua dottrina, proclamandolo nel 1946 "dottore della chiesa universale", col titolo di Doctor evangelicus.
Don Oreste Benzi
Don Oreste nasce il 7 settembre 1925 a San Clemente (Rimini), settimo di nove figli di una famiglia modesta. Già dall’età di 7 anni esprime il desiderio di diventare prete, a 12 anni entra in seminario e nel 1949 viene nominato sacerdote. Il primo incarico è come cappellano alla chiesa di San Giuseppe al Porto di Rimini. Dopo il 1950, per diversi anni, è insegnante e padre spirituale al seminario di Rimini, oggi a lui dedicato. Successivamente insegna religione in diverse scuole riminesi divenendo riferimento per molti studenti liceali.
Leggi di piùNel 1969 si dimette da ogni incarico per dedicarsi pienamente al nuovo ruolo di parroco, che mantiene fino al 2000, nel quartiere "Grotta Rossa" della periferia di Rimini. Qui inizia con alcuni giovani preti un’esperienza pastorale innovativa: decidere tutto insieme ai parrocchiani, lavorare con i fedeli e non per i fedeli, chiedendo responsabilità e consapevolezza della loro identità di re, sacerdoti e profeti e della loro missione nella storia. Dal momento in cui riceve l'ordinazione, don Oreste si ritrova a svolgere il suo compito di sacerdote accanto ai giovani e ai preadolescenti, capendo l'importanza di essere loro vicino. Mosso da uno spirito innovatore, lancia una proposta rivoluzionaria per quel tempo: portare in vacanza anche i ragazzi disabili, allora “chiusi” nelle famiglie e negli istituti.
Nel 1971 Don Oreste fonda l’Associazione per la formazione religiosa degli adolescenti “Papa Giovanni XXIII”, quella che è oggi la Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui è stato responsabile generale fino al 2 novembre 2007, giorno in cui è tornato al Padre. La storia della Comunità Papa Giovanni XXIII è inevitabilmente intrecciata alla sua storia personale. Nel 1973 apre la prima Casa Famiglia della Comunità a Coriano, per «dare una famiglia a chi non ce l’ha» e per “ri-generare” nell’amore bambini, disabili, persone sole e abbandonate, anziani e chiunque necessiti di essere accolto e aiutato ogni giorno. La sua passione per gli ultimi si estende ai tossicodipendenti, minori senza famiglia, nomadi, persone senza fissa dimora, carcerati, vittime delle sette, donne di strada, anziani; anche in terre di missione. Facilmente riconoscibile dalla lunga tonaca lisa e il rosario in mano ha cambiato il destino di tante persone. Tutti quelli che l’hanno conosciuto ricordano bene il suo saper guardare al cuore delle persone, ai doni e all’unicità di ognuno. La Comunità Papa Giovanni XXIII viene riconosciuta dalla Santa Sede nel 2004 associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio. Oggi la Comunità siede a tavola, ogni giorno, con oltre 41 mila persone nel mondo, grazie a più di 500 realtà di condivisione tra case famiglia, case di fraternità, mense per i poveri, centri di accoglienza, comunità terapeutiche, Capanne di Betlemme per i senzatetto, famiglie aperte e case di preghiera. Dal 2006 APG23 siede alle Nazioni Unite con lo Status di Consultative Special nell'Ecosoc (Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite), facendosi portavoce degli ultimi del mondo laddove i leader internazionali prendono le decisioni sulle sorti dell'umanità. Grazie alla forza dei suoi membri, dei volontari e di chi la sostiene la Comunità Papa Giovanni XXIII porta avanti il grande progetto di solidarietà di don Oreste: essere famiglia con chi non ce l'ha.
Daniele Badiali
Daniele Badiali nasce il 3 marzo 1962 da una famiglia semplice nella campagna di Faenza (Ra). Giovanissimo incontra l'esperienza dell'Operazione Mato Grosso ma, quale generoso che non si accontenta di amare a distanza o per procura, a ventidue anni appena compiuti parte per fare un’esperienza di due anni a Chacas, in Perù. Qui si trova padre Ugo de Censi e, insieme agli altri, impara la strada dell’umiltà, la verifica della vocazione, la correzione e la limatura del carattere.
Dopo un periodo a Bologna ritorna in Perù nel 1991, a due mesi dall’ordinazione, come prete “fidei donum”, assumendo la responsabilità della parrocchia di San Luis, sulle Ande.
La sua casa diventa subito punto di riferimento per i tanti poveri, continuamente assediata da chi viene “per chiedere viveri, per chiedere medicine, per chiedere, per chiedere, per chiedere...". Le sue giornate sono vorticosamente vissute “tra feste nei villaggi, ritiri con i ragazzi, confessioni, preparazione alle prime comunioni, oratorio da seguire, lezioni in seminario da fare, senza contare matrimoni, battesimi, funerali”.
Agli amici in Italia scrive di non sapere “come trasmettere la sofferenza che provo nel vedere tante pecore senza pastore!!! e come dire la sofferenza che provo nell’accorgermi che Dio conta sempre meno nella vita delle persone che cerchi di educare alla religione!”. Mentre si sente “un prete ai primi passi del cammino dell’amore”, sente anche tutta la fatica del credere, soprattutto a confronto con la fede genuina e semplice dei suoi parrocchiani. Così, mentre gli altri restano affascinati dalla sua “allegria contagiosa” e ammirano in lui soprattutto “la grande fede”, lui confessa di sentirsi “un peccatore, un incredulo in cammino verso il Vangelo”. “Questa scoperta della mia incredulità mi fa stare coi piedi per terra, mi fa soffrire, però non mi toglie il desiderio di sperare nel Signore e nella sua bontà”: così, volando tra un impegno pastorale e l’altro, pur avvertendo il dramma del vuoto e dell’assenza di Dio e “la delusione che questo Dio crocifisso non è quello che la gente cerca”, cerca “di imparare a vivere ciò che Gesù ci ha detto, … imparare a dar via la propria vita…”. Ecco perché la sera del 16 marzo 1997, mentre torna con i suoi collaboratori dai soliti impegni pastorali e la sua macchina viene fermata da un gruppo di banditi armati che vogliono un italiano in ostaggio per chiedere un forte riscatto a p.Ugo, Daniele non ha un attimo di esitazione: “Tu resta, vado io”, dice ad una volontaria che già sta avanzando verso il gruppo armato. Lo ritrovano due giorni dopo in una scarpata, con le mani legate e finito con un colpo alla nuca e i suoi cristiani non faticano proprio a capire che Daniele è riuscito perfettamente a “dar via la vita” per i fratelli. Come Gesù. E dato che un amore così non si può improvvisare, capiscono anche che diceva sul serio quando insegnava “a guardare in faccia alla morte, solo così si capisce quale direzione dare alla vita”.
San Domenico
Nato nel 1170 da una famiglia benestante spagnola, Domenico sin da bambino mostrò una forte propensione alla compassione e all’empatia con il dolore degli altri. Educato dallo zio arciprete, ancora adolescente fu spedito dalla famiglia a Palencia dove iniziò per lui un impegnativo decennio di studio.
Terminati gli studi in arti liberali e teologia, a 24 anni decise di seguire la propria vocazione entrando nei canonici regolari della Cattedrale di Osma dove venne consacrato sacerdote divenendo ben presto sottopriore sotto l’episcopato del Vescovo Diego d’Acebo. Fu proprio con quest’ultimo che intraprese uno dei viaggi più significativi della sua vita. Nel 1203, infatti, seguì il vescovo in una delicata missione diplomatica nell’Europa Continentale che permise a Domenico di venire a contatto con due dei più inquietanti pericoli che all’epoca minacciavano la cristianità cattolica: l’eresia catara e il paganesimo ancora presente in ampie zone del nord Europa.
Leggi di piùConvintosi della necessità di doversi adoperare con maggior zelo per l’affermazione dell’ortodossia cattolica ricevette da Papa Innocenzo III il mandato di trasferirsi nella Francia meridionale dove i catari erano più attivi per organizzare un’importante campagna di evangelizzazione.
San Domenico rimase in Linguadoca come missionario per ben dieci anni e la sua attività fu essenzialmente volta – come legato papale - a convertire gli eretici con semplici riconciliazioni, improntando la sua azione verso un apostolato fondato su dibattiti pubblici, predicazione, opera di persuasione, preghiera e mai violenza. Di questi anni famoso è l’episodio dell’apparizione in sogno della Vergine che mostrò a Domenico un rosario come unico strumento non violento di conversione.
Domenico inoltre capì che per vincere sulle eresie catare era necessaria anche un’opera di testimonianza personale e si persuase dell’importanza che prima di tutto dovessero essere monaci e clero a dare l'esempio di una vita fatta di umiltà e povertà, proprio come il Vangelo pretendeva. Anche per questo, pian piano maturò l'idea di dare vita a un ordine religioso capace di mantenere uno stile di vita tanto rigoroso e perfetto da poter convincere anche un cataro della bontà del cattolicesimo. L’approvazione papale alla regola che istituiva i Frati Predicatori giunse finalmente nel 1216 ad opera di Papa Onorio III. Ottenuto tale riconoscimento l’ordine (basato su studio, povertà, predicazione e vita comune) potè organizzarsi velocemente sviluppandosi fortemente in tutta la Spagna e soprattutto in direzione delle principali città, sedi di prestigiose Università, come Bologna.
Ed è proprio a Bologna che Domenico si spostò, fondando la comunità domenicana bolognese e il convento in cui ospitò e diresse personalmente i primi due capitoli dell’ordine. Ispirò e sostenne la diffusione dell’ordine dei frati predicatori fino al giorno della sua morte avvenuta nel 1221. Le sue spoglie sono conservate tutt’oggi presso la Basilica del Convento Domenicano di Bologna, ed anche per questo Domenico rappresenta una figura di santità molto sentita in tutta l’Emilia-Romagna.
Don Adriano Fornari
Don Adriano Fornari nasce il 31 agosto 1942 a Villabianca, un piccolo paese adagiato sulle prime colline del modenese a poca distanza da Sassuolo. La famiglia Fornari è una famiglia semplice, molto unita e molto religiosa, non agiata economicamente ma proprio per questo modellata sui valori autentici ed importanti della vita. È in questo clima familiare di sani principi che Adriano matura la sua vocazione al sacerdozio. Nel 1953 inizia il suo percorso di formazione al sacerdozio che lo porterà prima nel Seminario di Fiumalbo e poi in quello Metropolitano di Modena.
Leggi di piùNel 1966 nella chiesa di San Giorgio di Sassuolo, don Adriano riceve l’Ordine Sacro per mano di Mons. Giuseppe Amici: da quel momento in poi la storia della sua vita si confonde con quelle dell’Istituto “Tommaso Pellegrini” e del gruppo dei Sordi Modenesi. Qui ricopre diversi incarichi: Consigliere Udente nella Sezione Provinciale di Modena dell’Ente Nazionale Sordi (E.N.S.), Consigliere Nazionale dell’Associazione Italiana degli Educatori dei Sordi (A.I.E.S.), Rappresentante del Ministero della Pubblica Istruzione agli esami di idoneità per gli Insegnanti che desiderano essere ammessi ai corsi di specializzazione all’insegnamento degli alunni sordi. Nel 1967 a Bologna consegue il Diploma di Specializzazione all’Insegnamento dei sordi e si laurea in Pedagogia nell’Anno Accademico 1969-70. Così, in vari modi e sotto molteplici vesti, Don Adriano accompagna la vita di ciascun sordo.
Fra i vari incarichi che don Adriano riceve dalle mani dei suoi vari Arcivescovi, troviamo un impegno a tutto campo: Vicedirettore e Direttore dell’Istituto per Sordi “Tommaso Pellegrini”; Presidente della Caritas Diocesana; Parroco della Parrocchia di Saliceta San Giuliano; Direttore della Caritas Diocesana (riconfermato più volte); Membro del Collegio di Consultori; Vicario Episcopale; Amministratore Parrocchiale della Parrocchia di San Pancrazio; Parroco della Parrocchia di Fiorano. Continuerà a collaborare, fino alla sua morte, con don Giuseppe Albicini, suo successore e grande amico, per le Confessioni e le S. Messe.
Lo stile di vita che don Adriano sceglie è quello di porsi al servizio degli altri. Anche nella malattia, che lo porta lentamente all’immobilità degli arti inferiori, è di esempio a tutti per la sua rassegnazione alla volontà di Dio. Don Adriano muore il 23 Ottobre 2013.
San Martino
San Martino o Martino di Tours fu un Cavaliere dell’impero romano, un Vescovo e un monaco cristiano del IV secolo. Originario della Pannonia (odierna Ungheria), sin da piccolino si trasferì con la famiglia a Pavia. Figlio di un veterano dell’esercito romano, venne educato e formato per diventare un giorno anche lui soldato dell’impero, destino già apparentemente inscritto nel nome che il padre volle dargli: Martino, appunto, in onore di Marte, dio della guerra.
Cresciuto e diventato adulto entrò a far parte della guardia imperiale di stanza in Gallia, regione in cui rimase ed operò per quasi tutto il resto della sua vita.
Ed è in questo lungo periodo di servizio militare che maturò in lui la conversione al Cristianesimo. Decisivo, almeno nell’agiografia, fu il celebre incontro con il povero mendicante seminudo in cui Martino si imbatté durante una ronda a cavallo nel rigidissimo inverno del 335. Mosso a profonda compassione, infatti, Martino si levò di dosso il suo mantello facendone due parti per condividerlo col povero incontrato lungo il cammino. Finita la ronda e rientrato in accampamento, la notte stessa fece un sogno: sognò Gesù che, indossando la metà del suo mantello militare, lo ringraziava per averlo vestito. Il sogno colpì a tal punto il Santo che Martino decise di battezzarsi pur rimanendo - ancora per un ventennio – a prestare servizio come cavaliere nella guardia imperiale.
Solo giunto alla soglia dei quarant’anni si decise a lasciare l’esercito abbracciando la vita monacale e fondando a Poitiers uno dei primi monasteri dell’occidente. Per la sua fama di uomo giusto e misericordioso (oltre che per il suo impegno nella lotta contro l’arianesimo), nel 371 la città di Tours lo volle come Vescovo. Questo nuovo incarico cittadino non distrasse mai Martino dalla sua missione di pastore dei contadi e delle campagne e dal fondare sempre più ampie comunità monastiche dedite alla condivisione, alla preghiera e all’evangelizzazione.
Nel Novembre del 397 morì già in odor di santità e il suo nome e la sua popolarità crebbe velocemente divenendo uno dei Santi più importanti e seguiti d’Europa. In Italia il culto di San Martino è legato soprattutto al fenomeno meteorologico dell’Estate di San Martino, un momento dell’autunno che attorno alla data commemorativa dell’11 novembre solitamente concede temperature insolitamente più miti. Nella vulgata questo aumento della temperatura vuole ricordare appunto il celebre gesto del Santo che, col taglio e la condivisione del mantello, scaldò il povero mendicante nel gelido inverno.
Avendo fama di Santo dalle umili origini, e di cavaliere romano caritatevole e buono, San Martino anche in Emilia-Romagna è spesso venerato soprattutto nelle aree di campagna e di montagna ed è patrono di diversi paesi e piccole località rurali.
San Vicinio
Tradizione vuole che Vicinio, originario della Liguria, poco prima delle grandi persecuzioni avviate da Diocleziano e Massimino nel IV secolo trovasse rifugio proprio nella vicina Romagna. Nello specifico si fermò lungo la valle del Savio che ricca di strategiche vie di valico divenne così di fatto anche un’importante direttrice di diffusione del cristianesimo.
Sempre secondo la leggenda Vicinio si stabilì su un monte nei pressi di Sarsina (oggi infatti detto Monte San Vicinio), dove rimase in romitaggio facendo vita isolata e ascetica, dedita alla preghiera e alla meditazione. La fama di uomo pio e soprattutto la nomea di taumaturgo (Vicinio ebbe – secondo le cronache – uno speciale carisma che lo rendeva capace di scacciare con esorcismi e benedizioni il maligno dalle persone possedute) presto si diffuse per tutta la valle.
Leggi di piùE così quando l’accresciuta comunità cristiana di Sarsina arrivò a dover scegliersi il proprio vescovo, la scelta cadde a furor di popolo proprio su Vicinio che ne divenne il primo Episcopo. Tale scelta fu possibile anche grazie a uno strano prodigio che si manifestò in quei giorni sul cielo proprio sopra al monte dove il Santo viveva.
L’episcopato di Vicinio fu molto intenso e attivo nell’opera di evangelizzazione di tutto il territorio della diocesi e, anche prima della morte che lo colse il 28 Agosto del 330, l'intercessione del Santo era spesso invocata per guarire infermità del corpo come dello spirito. In tanti infatti accorrevano a Sarsina per conoscere il Vescovo guaritore e per ricevere la sua benedizione capace di scacciare – secondo la leggenda – i malanni dell’anima e più in generale i problemi spirituali ed esistenziali.
Uno degli aspetti più caratteristici del Santo è quello derivante dall’abitudine di indossare un collare metallico a cui era solito fare pendere una pesante pietra legata ad una catena di ferro. Questo insolito abito, oltre che una forma di penitenza, si spiega con la volontà del Santo a restare vigile per essere sempre pronto nella quotidiana lotta contro il maligno.
La pratica dell’imposizione del collare è ancora assai viva tanto che il collare, oggi conservato nella Cattedrale di Sarsina, viene abitualmente usato per benedizioni e anche esorcismi.
Legato al Santo e alla sua opera di evangelizzazione è anche la recente istituzione del cammino di San Vicinio, un suggestivo percorso che attraversa da est a ovest la penisola tra sterrati, pievi, boschi ed antiche vie di pellegrinaggio.
San Michele
Con Gabriele e Raffaele, San Michele competa la schiera degli Arcangeli che, secondo l’Antico Testamento, sono al servizio della gloria di Dio. In particolare San Michele è devotamente venerato come Arcangelo sia nell’ebraismo che nel cristianesimo che nell’islam.
Il suo nome può essere tradotto con l’espressione “Chi è simile a Dio?” ed è comunemente rappresentato come l’Arcangelo con la spada in mano. Secondo il mito infatti, Michele e Lucifero formavano la coppia di Angeli alla guida della schiera dell’esercito celeste. Ma quando Lucifero si ribellò, Michele non lo seguì nella sfida prendendo invece le difese di Dio. Lucifero e le sue orde di angeli corrotti precipitarono nell’inferno, mentre Michele restò saldamente al fianco del Creatore rappresentando con la sua spada sguainata il costante trionfo del bene sul male.
Leggi di piùIl culto dell’Arcangelo si diffuse enormemente in Italia e in Europa soprattutto dopo l’apparizione di San Michele in Gargano e il Santo viene comunemente invocato in molte liturgie come protezione dal demonio. Santo particolarmente caro ai longobardi, in suo onore vennero erette numerose chiese, abbazie e luoghi di culto. Le più prestigiose e suggestive sono senza dubbio la Sagra di San Michele vicino Torino e ovviamente il celebre isolotto di Mont Saint-Michel in Normandia.
In Emilia-Romagna la devozione verso l’Arcangelo che schiaccia sotto il piede il drago o il demonio (posa in cui spesso viene raffigurato il Santo) è particolarmente sentita anche grazie all’opera di San Colombano che dell’Arcangelo era particolarmente devoto. Il Santo fondò nella sua vita diverse chiese dedicate a San Michele e in particolare, dal 615, elesse a proprio personale luogo di romitaggio, la cosiddetta spelonca di San Michele nei pressi di Bobbio. In questo luogo raggiungibile percorrendo l’antica via degli Abati, il Santo usava ritirarsi per lunghi periodi di preghiera e quaresima. Ed è sempre in questo luogo che, secondo la leggenda, il Santo si raccolse in preghiera prima di morire, per quanto le sue spoglie saranno poi miracolosamente ritrovate adagiate nella sua cella del monastero di Bobbio.
Legata alla figura di San Michele è anche una delle principali arterie di pellegrinaggio dell’antichità medievale conosciuta come la via Francigena. Questa antica via nel suo percorso interseca diversi luoghi dedicati o comunque vicini alla figura dell’Arcangelo: non ultimo quello testimoniato da ciò che resta della comunità colombana e del monastero di Bobbio lungo la splendida via degli Abati (conosciuta infatti anche come Francigena di Montagna).
San Benedetto
San Benedetto è una delle figure di santità più conosciute e riconosciute di tutta la cristianità. Vissuto in uno dei periodi più bui per la storia della penisola italica e per le istituzioni latine alle prese con le conquiste e le devastazioni dei Goti, Benedetto rappresenterà col suo esempio e la sua fede un faro di civiltà fondativo della futura cultura europea.
Quello che sappiamo della vita del Santo lo dobbiamo in gran parte alla biografia lasciataci da San Gregorio Magno che dedica a Benedetto il secondo libro della sua opera “I Dialoghi”.
Nato a Norcia nel 480 appena dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, figlio di console romano e fratello di Santa Scolastica, fu inviato ben presto a Roma per intraprendere gli studi e perfezionare la sua formazione. A Roma, Benedetto potè vivere e vedere da testimone diretto l’imbarbarimento dei costumi e la dissolutezza della morale in cui era precipitata l’Urbe eterna.
Leggi di piùProfondamente turbato da ciò, decise molto presto di abbandonare gli studi e, spogliandosi di tutti gli averi, di ritirarsi a vita contemplativa e monastica nella valle del fiume Aniene prendendo dimora in una spelonca nei pressi di Subiaco. Qui, grazie anche alla fama di persona mite e santa, la sua popolarità crebbe e ben presto a Benedetto si raccolse una piccola schiera di compagni volenterosi di abbracciare una vita fatta di preghiera, lavoro e condivisione. Dopo varie vicissitudini attorno al 530 Benedetto approdò a Montecassino dove vi fondò l’omonimo e famosissimo monastero. Qui nel 540 consapevole del crescente successo del nascente ordine e dell’importanza di regolare e organizzare un movimento capace di difendere la civiltà e il sapere dall’oblìo e dalla barbarie, compose la Regola che avrebbe di lì in poi ritmato nei mini particolari la giornata di tutti i monaci dell’ordine per i secoli a venire.
Una delle caratteristiche più importanti della Regola fu quella di alleggerire certe severità delle regole monastiche precedenti dando spazio e valore al rispetto per la personalità umana e soprattutto per le capacità individuali. Conosciuta per il motto “Ora et Labora”, la Regola si fonda sul principio di stabilitas loci (l’obbligo di soggiornare tutta la vita nel medesimo monastero), la buona condotta morale, la compassione e pietà reciproca e infine l’obbedienza all’abate. I monasteri benedettini, infatti, sono entità autonome e soggette alla sola autorità dell’abate che governa sulla vita della comunità da “padre amoroso” (da abbà infatti la parola “abate”) scandendo il tempo tra lavoro (ognuno secondo le proprie inclinazioni e capacità) e preghiera.
Anche in Emilia-Romagna nei secoli a venire sorgeranno un numero significativo di importanti monasteri benedettini. La figura del Santo e della sua Regola rappresentano, senza dubbio, una delle principali direttrici lungo cui percorrere un suggestivo viaggio alla scoperta del forte senso di spiritualità e delle molteplici tradizioni di fede popolare che caratterizzano questa regione.
San Giacomo il Maggiore
Originario secondo i vangeli di Betsaida, località sul lago di Tiberiade, Giacomo – figlio di Zebedeo - è fratello di Giovanni. Viene indicato come “il Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo ossia Giacomo di Alfeo. Forse per il temperamento impulsivo e zelante viene anche chiamato da Gesù, assieme al fratello Giovanni, Boanerghes cioè “figli del tuono”.
È uno dei Dodici e i vangeli ce lo presentano anche come membro della cerchia più ristretta del Messia, quella a cui probabilmente Gesù si affidava di più. È infatti presente assieme a Pietro e Giovanni al momento della trasfigurazione oltre che ad uno dei miracoli più toccanti di Gesù durante l’episodio della resurrezione della figlia di Giairo e nella sofferta notte del Getsemani.
Leggi di piùSappiamo che anche la madre – Salome – faceva parte del gruppo di donne benestanti che seguì Gesù e gli apostoli negli anni dell’apostolato, probabilmente sostenendo anche materialmente le necessità del gruppo. La stessa Salome è protagonista del famoso episodio in cui arriverà a chiedere per i suoi due figli – pronti a bere, a loro dire, il calice che Gesù berrà - i posti migliori nel regno che il Messia si sarebbe apprestato ad edificare di lì a poco. La richiesta, come noto, venne con veemenza rispedita al mittente, ma il calice amaro della persecuzione in effetti passò anche per la gola di Giacomo che attorno agli anni ‘40 venne decapitato da Erode Agrippa divenendo il primo Apostolo martire.
Oltre alla tradizione che lo vuole, dopo la morte di Gesù e prima del martirio, in viaggio verso la Spagna per l’evangelizzazione di quella terra, nella Legenda Aurea Jacopo da Varazze narra che, successivamente alla sua morte, i suoi discepoli ne abbiamo trafugato il corpo traslandolo fino alle coste della Galizia. Il sepolcro con le sue spoglie sarebbe rimasto nascosto fino a quando nel 830 fu rinvenuto in seguito alla visione di un fenomeno prodigioso. Nel luogo del rinvenimento (poi soprannominato campus stellae cioè “campo della stella” dalla visione apparsa in cielo) venne poi eretta quella che oggi è conosciuta come Santiago di Campostela, città capoluogo della Galizia, con la sua celeberrima cattedrale dedicata a San Giacomo il Maggiore e punto culminante di uno dei cammini di pellegrinaggio più significativi della storia della cristianità.
Per questa tradizione che lega San Giacomo alla penisola iberica in un momento cruciale per la storia europea - e cioè negli anni della conquista Araba -, il Santo fu anche associato a simbolo della resistenza cristiana fino a diventare icona del combattente invincibile nella lotto contro gli “infedeli” e l’Islam.
Anche per questa fama di zelante patrono difensore della cristianità, il pellegrinaggio al santuario che ne deteneva le spoglie crebbe di importanza e di notorietà, divenendo nel medioevo la metà più importante dopo Roma e la Terra Santa.